Il toponimo della via è fuorviante: visto che vicino c’è pure via Ormea, paese al confine tra Piemonte e Liguria, viene naturale pensare che via Saluzzo sia intitolata all’omonimo Comune. Invece no: Ormea ricorda Carlo Vincenzo Ferrero conte di Roasio e marchese d’Ormea, considerato «uno dei più abili negoziatori politici di cui s’onori la storia della diplomazia sabauda», mentre dietro Saluzzo si cela il conte Angelo Saluzzo, che nel ‘700 con Lagrange e Cigna fondò a Torino l’Accademia reale delle scienze. Siamo nel cuore di San Salvario, quartiere sorto a cavallo dell’unità d’Italia che sin da subito si contraddistinse per un’impronta caritatevole e aperta ad ogni confessione. A partire dal 1843 ospitò l’ospedale valdese e quindi quello omeopatico, lasciando poi spazio tutte le religioni: in un fazzoletto si trovano tuttora la sinagoga, il tempio valdese, la chiesa dei SS. Pietro e Paolo di don Piero Gallo e da qualche anno, nel cortile di via Saluzzo 18, pure una moschea musulmana.

Via Saluzzo, la prima parallela di via Nizza, è da sempre anche la via del «vitto e alloggio» a partire dall’albergo Genio, che aprì i battenti nel 1873. L’hotel Due Mondi iniziò invece l’attività nel 1900, mentre l’omonimo ristorante è di origine più antica (1877). Dopo la lunghissima parentesi del toscano Ilio Mariani, cuoco della Juventus e della Nazionale, il Due Mondi da un decennio si è convertito alla cucina piemontese. «A pranzo proponiamo piatti veloci a prezzo fisso, mentre alla sera la nostra clientela ha ben altre esigenze – spiega il titolare Daniele Fracei, che da vent’anni lavora nel borgo -. Com’è San Salvario? Nell’ultimo quinquennio è una realtà in continuo miglioramento in cui non c’è percezione di insicurezza e di pericolo sociale. Il dramma vero è il posteggio: guai ad ignorare i parcheggi sotterranei».

Dallo stesso lato ma poco più in là, verso corso Vittorio, ecco le vetrine del ristorante Urbani (che ha da poco aperto a fianco una pizzeria): negli Anni Sessanta i tre fratelli Vittorio, Wanda e Giorgio avevano spostato al numero 4 della via la rosticceria che i loro genitori (toscani, ovviamente) inaugurarono nel 1943 in via Bellezia. E dove ora c’è Urbani, nel 1927 iniziò l’attività la trattoria Porta Nuova di Attilio Biagini, capostipite di una famiglia di Altopascio che in città ha avuto diversi ristoranti. Oltre via San Pio V, più o meno davanti all’hotel Urbani che nel 2004 ha cambiato gestione conservando il nome, c’è la Locanda del Sorriso. Che si trova a fianco dell’ex Taverna Dantesca, altro nome storico della ristorazione torinese che ha chiuso qualche anno fa dopo una gloriosa attività durata una settantina di anni. «Una zona in cui si lavora bene: peccato che ci siano tantissime saracinesche abbassate – dice il giovane proprietario della Locanda Filippo Attisano, che propone specialità casalinghe piemontesi e calabresi -. La nostra fortuna sono gli alberghi delle vicinanze ma anche una piccola parte della “movida” giovane del borgo, che in realtà bazzica soprattutto dalle parti di piazza Madama». È strano che, pur essendo in pieno centro, via Saluzzo non sia interessata dalla Ztl. «Di giorno è molto tranquilla, di sera vince il chiasso delle auto alla disperata ricerca di un posteggio – continua Attisano -. Ma una soluzione ce l’avrei: pedonalizzare tutta la zona. Ci sarebbero ancora meno parcheggi, ma si riuscirebbe a vivere il quartiere in maniera ben diversa».

Al di là di via Galliari, dove inizia la parte meno «italiana» della strada (sino all’angolo con Baretti sono numerosi i negozi e le botteghe gestite da africani), c’è un altro pezzo di storia della cucina torinese che però da qualche tempo ha cambiato pelle. «Nel 2000 ho rilevato la Trattoria del Chianti, facendone un ristorante in cui proporre, accanto alla cucina toscana e a quella abruzzese, anche quella romena – spiega Vanda Furtuna -. E la nostra clientela si divide tra gli italiani che arrivano grazie alle agenzie turistiche, e i miei connazionali, che vengono a mangiare quasi esclusivamente nei weekend». Problema ordine pubblico: «È vero che si verificano meno brutti episodi rispetto al passato, ma chi bivacca e beve in strada e i cassonetti stracarichi non contribuiscono a dare una bell’immagine al quartiere».

Non solo cibo, ovviamente. All’angolo con via Galliari, ad esempio, in una casa curiosamente medievaleggiante, c’è il negozio Lo Piparo, che ha aperto nel ‘47 e da due decenni è diretto da Ivana Piumatti. «Dietro presentazione del tesserino vendiamo articoli militari al dettaglio a tutte le forze di polizia, e ai privati anche zaini, magliette e felpe – dice la titolare -. Qui i tipi poco raccomandabili non mettono piede, perché sanno che tra i nostri acquirenti molti sono armati».

di Maurizio Ternavasio, La Stampa (07/04/2011)

Il bellissimo portone affrescato al numero 21.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Compila questo campo
Compila questo campo
Inserisci un indirizzo email valido.
Devi accettare i termini per procedere