Articolo di Maurizio Ternavasio, rubrica “Questa è la mia città” de La Stampa, 29/10/2010. – Foto di Justforjoy su Flickr

“Oh bella, cosa si scopre cercando argomenti il meno scontati possibile (anche se dopo oltre 150 puntate comincia ad essere dura…) per questa rubrica.
Per me, nato e a lungo vissuto a San Salvario (più esattamente nella zona chiamata Valentino), via Saluzzo sino a pochi minuti fa, cioè prima che mi documentassi a dovere, era naturalmente dedicata alla cittadina in provincia di Cuneo.
Invece no: mi è toccato or ora scoprire, con un certo raccapriccio, che la strada in questione in realtà è intitolata al conte Angelo Saluzzo, lì nato nel 1734.
Dopo la laurea in fisica e gli studi in chimica, con Lagrange e Cigna fondò in città l’Accademia reale delle scienze. Poi fu colonnello d’artiglieria e quindi comandante generale.

A quel punto sono andato subito a controllare chi si nasconde dietro via Ormea. Doppio choc: anche in questo caso non c’entra il paese delle alpi marittime al confine tra Piemonte e Liguria, bensì Carlo Vincenzo Ferrero conte di Roasio e marchese d’Ormea, definito “uno dei più abili negoziatori politici di cui s’onori la storia della diplomazia sabauda”.
Allora mi sono fermato, per non perdere, tutte insieme, anche altre certezze.

Ma torniamo a bomba. Via Saluzzo venne tracciata nel 1853, quindi sedici anni dopo l’omonima piazza, che da tempo è però “accatastata” come largo.
Largo Saluzzo, oltre ad essere luogo bellissimo in virtù dei palazzi che vi si affacciano ad ovest, è sulla bocca di tutti, oltre per le sedie che vanno e vengono, per la chiesa dedicata ai Ss. Pietro e Paolo: la prima a pietra fu posta nel 1863, due anni dopo l’inaugurazione. Lo stile della parrocchia, che da molti anni è retta da don Piero Gallo, è greco, con facciata bizantina. Il disegno lo si deve all’ingegner Carlo Velasco che, scriveva il Torricella, “va lodato poiché questo suo primo giovanile lavoro è improntato ai severi dettami del classicismo”.

Personalmente mi è cara, via Saluzzo. Perché, almeno nel tratto finale, cioè verso piazza Arturo Graf dove finisce, è per lungo tempo stata parte della mia fanciullezza, visto che ci passavo di continuo per andare a scuola o dagli amici. Dalla parte opposta, nei pressi della stazione, c’era invece Urbani, il ristorante in cui la domenica sera seguivo, in uno dei mille televisori sparpagliati un po’ ovunque, Sandokan, con Kabir Bedi. Un motivo sufficiente per conservarla in un ventricolo del cuore.”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Compila questo campo
Compila questo campo
Inserisci un indirizzo email valido.
Devi accettare i termini per procedere