Nell’ aprile del 2010 abbiamo segnalato un’ interessante rubrica sorta su La Stampa con delle curiose vedute, realizzate da Matteo Pericoli con testi di Bruno Gambarotta. La protagonista è proprio la città di Torino, vista attraverso le finestre dei suoi abitanti, del presente o del passato.
Ad oggi molte viste hanno riguardato la nostra San Salvario, l’ ultima è stata realizzata dalla casa di Natalia Ginzburg, proprio di fianco all’ Aiuola Donatello. E cogliamo l’ occasione per riproporne altre meno recenti.

Negli occhi della Ginzburg

“A Torino ho abitato in quattro luoghi, ma per me Torino è soprattutto via Pallamaglio”, affermò Natalia Ginzburg in un’intervista. La via, nel quartiere di san Salvario, nel dopoguerra è stata dedicata a Oddino Morgari. Ma la casa, al quarto piano del civico 11, è sempre lì e non poteva finire in mani migliori. L’attuale proprietaria, Patrizia Monzeglio, ha ricostruito con amorevole dedizione i tempi e i modi dei passaggi della scrittrice in queste stanze; con Rosalba Durante sta preparando una mostra evento per ricordare i vent’anni dalla morte di Natalia, la quale visse tre diverse stagioni della sua vita in quest’appartamento. Una prima volta dal 1929: “La nuova casa era all’ultimo piano e guardava su una piazza, dove c’era una brutta e grossa chiesa, una fabbrica di vernici e uno stabilimento di bagni pubblici”. Frequenta il ginnasio Alfieri: “Adesso, quando mi alzavo, guardavo l’ora centomila volte, un poco sulla sveglia che avevo sul comodino, e un poco sul grande orologio che stava sull’angolo della strada, proprio dirimpetto alla mia finestra”. Questa casa ha ospitato Filippo Turati, in fuga verso la Francia e Adriano Olivetti. Natalia ci ritorna una seconda volta nel 1938: “Ci sposammo, Leone ed io; e andammo a stare nella casa di via Pallamaglio”. La lascia il 13 giugno 1940 con i due figli Carlo e Andrea, per seguire Leone al confino a Pizzoli, in Abruzzo. Alessandra nasce a L’Aquila nel ’43. Dopo la morte di Leone a Regina Coeli, torna una terza volta qui nel 1945: “La fabbrica di vernici sulla piazza era bruciata in un bombardamento; e così lo stabilimento di bagni pubblici. Ma la chiesa era stata solo un poco danneggiata ed era sempre là, sostenuta ora da intravature di ferro”. In quella chiesa sposa nel 1950 Gabriele Baldini e nel 1952 si stabilisce definitivamente a Roma.

Sotto gli occhi di Lombroso

Monsignor Mario Canciani, biblista già parroco di borgata e poi confessore di Giulio Andreotti, amava raccontare che a Cesare Lombroso una volta venne sottoposta una foto di detenuti, chiedendogli chi fosse quello che mostrava con più evidenza i caratteri del criminale. Lombroso indicò la testa di un uomo al centro della foto.
Era il cappellano del carcere. “Non tutti realizzano le proprie inclinazioni”, si giustificò.
Certo che grandi mandibole e zigomi sporgenti e arcate sopracciliari prominenti caratterizzassero i criminali, e distinguendo i delinquenti nati dai mattoidi e da quelli d’occasione, il positivista Lombroso si appassionò alla fisiognomica e studiò la cosiddetta ruga del cretino.
Misurando il cranio dei briganti meridionali deportati in Piemonte, decretò l’esistena della “fossetta occipitale mediana”, causa dei loro comportamenti. I criminali, a suo parere, portavano tratti anti-sociali fin dalla nascita, per via ereditaria, e la sua teoria dell’atavismo precedette di un anno la pubblicazone de L’Origine delle Specie da parte di Darwin.
Dato che a Wall Street è difficile trovare broker dalle fattezze paragonabili a quelle di certi banditi della Sila, in base ai parametri dell’antropologia criminale lombrosiana parrebbe difficile individuare i responsabili di reati finanziari.
Da questo punto di vista, Lombroso ci appare oggi straordinariamente attuale.

I tre ragazzi di Via Principe Tommaso

Bay, chi era costui? Lucio, Marco e Federica, i tre ragazzi che si dividono le spese dell’appartamento al primo piano di via Principe Tommaso, non si sono mai posti il problema di chi fosse questo misterioso signor Bay che dà il nome all’asilo che, al di là della strada, incombe sulle loro finestre.
Coloratissimo, per contrastare l’immagine da fortilizio prodotta dall’impiego del cemento armato, dalle fasce orizzontali, da finestre feritoie strette e lunghe. Quando è pieno di bambini che vanno su e giù per le rampe che collegano i vari piani, diventa un alveare ronzante di voci e di strilli in tutte le lingue del mondo.
Lucio, alessandrino, è laureato in architettura e fa il cartografo alle Pagine Gialle; Marco è toscano e lavora alla TNT presso l’autoporto Pescarito, fra Torino e san Marco; Federica arriva da una cittadina del Piemonte e studia architettura.
Hanno orari e ritmi di vita diversi, se per una volta vogliono pranzare insieme devono programmare l’evento. Tutti e tre sono convinti adepti della bicicletta, una scelta quasi obbligata per chi ha scelto di vivere nel quartiere multietnico di San Salvario.
Dove nessuno sa cosa sia il silenzio. A una certa ora del giorno alle voci dei bambini subentrano quelle che salgono dai locali a piano terra, il Circolo Sud e il Mar Rosso, che si presenta come “afro art restaurant” e propone l’Afro Combo, un “piatto combinato che unisce le diverse cucine africane”.
Per questi giovani torinesi, che nel futuro saranno i padroni della città, i suoni, i rumori, le voci, la musica, sono vita.
Nient’altro che vita.

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