“La storia dell’alimentazione s’intreccia con la storia dell’umanità: la migrazione di semi, ricette, sapori e tecniche agronomiche e di cottura, coincide con la migrazione di popoli”.
Quando sentiamo parlare di migranti, raramente il cibo è la prima cosa a cui pensiamo. Eppure molto spesso i piatti tipici di una cucina migrante sono la prima cosa con cui ci rapportiamo, anche senza sapere nulla sulla loro provenienza geografica e culturale. Basti pensare al kebab e al falafel, piatti della cultura araba che ormai rappresentano un’alternativa esotica e comune al fast food di impronta americana. Pensiamo a piatti come l’hummus, il cous cous, il sushi e i noodles, ormai parte integrante del nostro orizzonte culinario. E ancora a ingredienti come la salsa di soia, il tofu e lo zenzero, diffusi già da tempo nelle nostre dispense. Lo scambio con le comunità migranti passa prima di tutto dal palato. Dietro a sapori e consistenze nuove si nascondono culture alimentari che sono il prodotto di una moltitudine di fattori culturali, religiosi, storici o ambientali. Ecco che un qualsiasi prodotto nei supermercati etnici della nostra città ci racconta la sua storia e quella del popolo da cui proviene.
Turisti per Casa – speciale San Salvario – il video
Sabato 18 settembre 2014 il giornalista Vittorio Castellani meglio conosciuto come Chef Kumalè ha condotto i torinesi per le strade di San Salvario alla scoperta d’ingredienti, cucine e culture proprie di alcune minoranze migranti che abitano il quartiere. Il tour ‘Turisti per casa’, che il gastronomade svolge a Porta Palazzo ormai da anni, si è trasferito a San Salvario in occasione dell’Antipasto del Gusto, una serie di iniziative gastronomiche tenutesi in contemporanea al Salone del Gusto e Terra Madre. “Si può viaggiare anche stando nella propria città, se la guardiamo con occhi diversi”, ci spiega mentre ci registriamo per il tour come membri del ‘Couscous Clan’. Questo è il nome dell’associazione culturale fondata da Vittorio Castellani con lo scopo di contrastare i venti xenofobi “prendendo per la gola” i nostri connazionali nel tentativo di rendere più digeribile la presenza di comunità migranti nella nostra città.
Il luogo di partenza è Sivuplè, un caratteristico bistrot francese in via Bethollet 11, nato dalle ceneri di una panetteria, di cui conserva splendidi scaffali in legno. Elsa e Lauren sono l’anima di questo posto che ha aperto nel 2011 e oltre ad offrire un’ampia gamma di prodotti francesi ambisce a portare un po’ di Francia nel cuore di San Salvario. Lasciamo la Francia per trovare in via Saluzzo numero 10bis un angolo di Etiopia, nato dall’unione di due donne etiopi e un ragazzo napoletano. La giovane Aster, sua sorella e il marito Antonio condividono l’amore per il caffè, elemento fondamentale nelle rispettive culture alimentari. In un certo senso le loro provenienze diverse rendono giustizia al caffè e contribuiscono a raccontare parti diverse della stessa storia. “Il caffè è nativo dell’altopiano di Kaffa in Etiopia (da cui prende il nome). Chiamato anche il ‘vino nero del Profeta’, il caffè venne associato all’ascesa spirituale dei mistici e poi bandito come bevanda dei dissoluti”, ci raccontano. Impariamo che il caffè veniva un tempo appallottolato con lardo e mangiato nelle transumanze. Il modo in cui noi italiani beviamo il caffè oggi deriva dai Turchi, che diffusero l’usanza di bere il caffè senza spezie, a differenza di come si consuma il caffè in molte zone del mondo – arricchito di noce moscata, zenzero, pepe lungo, chiodi di garofano, cardamomo e altre spezie. Aster ci mostra una riproduzione della cerimonia etiope del caffè , assai simile a quelle che si tengono nelle tende beduine per porre fine a discordie tribali. Dopo aver viaggiato alle origini del caffè, tra la sua storia e il suo simbolismo all’interno di pratiche rituali e religiose in diverse parti del mondo, salutiamo Aster e Antonio, che ci invitano a tornare per assaggiare alcuni piatti tipici della cucina etiope tradizionale, come il famoso ‘Njera – una sorta di crepes fatta di teff, “il cereale più piccolo del mondo.”
[fusion_builder_container hundred_percent=”yes” overflow=”visible”][fusion_builder_row][fusion_builder_column type=”1_1″ background_position=”left top” background_color=”” border_size=”” border_color=”” border_style=”solid” spacing=”yes” background_image=”” background_repeat=”no-repeat” padding=”” margin_top=”0px” margin_bottom=”0px” class=”” id=”” animation_type=”” animation_speed=”0.3″ animation_direction=”left” hide_on_mobile=”no” center_content=”no” min_height=”none”]Svoltiamo di qualche incrocio per arrivare in India. Il mini market internazionale di Shah e Riaz è un oasi indiana in via San Pio V 2, tra la sinagoga e via Nizza. Qui si possono trovare moltissime varietà di riso, chuntey, spezie, masala chai e altri tipi di tè oltre a prodotti ayurvedici e prodotti per capelli a base di henna. Shah ci mostra anche la padella per fare i chapati, il companatico indiano fatto con olio, farina, sale, acqua e cumino. Impariamo delle molteplici proprietà terapeutiche della curcuma, che si può aggiungere in piccole quantità a molti piatti diversi. Scopriamo che il cumino, utilizzato tradizionalmente in molti piatti a base di legumi ha proprietà carminative che contrastano il gonfiore dato da questi cibi. Con i legumi decorticati si possono fare polpette vegetariane con aglio cipolla zenzero cumino e masala, il misto di spezie comunemente conosciuto con il nome inglese di curry. Troviamo poi potenziali alternative allo zucchero bianco raffinato, come lo sciroppo di palma e tamarindo (letteralmente “dattero dell’India”). Scopriamo la salsa di banana e lo sciroppo di melograno per condire insalata e carni. Tra le verdure troviamo il taro, simile alla patata con un gusto leggermente nocciolato. Troviamo la garella o melone amaro e peperoncini verdi e piccanti. Finalmente abbiamo degli strumenti per utilizzare questi prodotti che spesso ci sembrano fuori dalla nostra portata perché non sappiamo leggerne l’etichetta e perché non ne conosciamo l’uso né il sapore.
Lasciamo l’India per trasferirci nel Marocco di via Berthollet. Qui visitiamo la moschea e qualche macelleria e gastronomia nei suoi immediati dintorni. Il titolare di una macelleria nei pressi della sinagoga ci racconta della carne halal, cioè macellata seguendo alcuni precetti dettati dalla religione islamica, che rigorosamente evita la carne di maiale. Scopriamo che il piatto nazionale marocchino è il tajin, mentre il cous cous si mangia solo il venerdì. Impariamo i mille usi del tahin, la deliziosa pasta di sesamo, dei limoni in confit e delle foglie di vite usate per fare i dolmè, verdure ripiene di origine persiana.
Mentre ascoltiamo storie di viaggio, di migrazione e circolazione di ingredienti, sementi, ricette e tecniche di cottura non possiamo non pensare a quanto la cucina sia tutt’altro che statica e frutto di costanti e continue contaminazioni culturali. Il processo che ha portato la nostra cucina secoli fa ad abbracciare e renderne sue pietre miliari alimenti ‘esotici’ quali il pomodoro, la melanzana, il peperoncino e il caffè, continua. Molti ingredienti-base di alcune culture migranti, in particolare frutta e verdura si coltivano dietro l’angolo, a Km 0. Le nostre campagne ospitano già prodotti esotici che hanno trovato nel nostro paese le condizioni favorevoli per crescere: okra, daikon, cavolo cinese, spinacio d’acqua e zenzero ne sono solo un banale esempio.
Imparare a utilizzare e apprezzare la vastità d’ingredienti di diversa provenienza geografica che convergono nella nostra città con i processi migratori ci permette di conoscere il mondo che oggi abita con noi i nostri quartieri, crea occasione di scambio e arricchimento culturale e aumenta il nostro vocabolario e lessico di sapori e ingredienti nuovi.
di Rachele Ellena
Per info e prenotazioni per il prossimo tour gastronomico a San Salvario o a Porta Palazzo contattare:
Vittorio Castellani aka Chef Kumalé
Mobile 335 6647579
Email: chef@kumale.net[/fusion_builder_column][/fusion_builder_row][/fusion_builder_container]