Il vescovo alla mensa di San Salvario: più si dà agli altri e più si è felici

Sono per lo più extracomunitari, ma non mancano neppure gli italiani, soprattutto anziani. Entrano alla spicciolata, allungano la mano al volontario che consegna il numero, ritirano il sacchetto del pasto, ringraziano e lo portano a casa. Chi ce l’ha. Chi no, si siede e mangia qui. In via Belfiore 12, alla mensa dei poveri.

La definizione suona un po’ strana, evoca atmosfere ottocentesche, eppure è realtà. Che – a detta dell’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia – «è sempre più in crescita». A due passi dai tavolini all’aperto di bistrot e ristoranti del centro, c’è gente che per il pranzo della domenica può contare solo sulla solidarietà. Nel cuore di San Salvario, nei locali messi a disposizione dalla Piccola Casa della Divina Provvidenza ai volontari del Cenacolo Eucaristico della Trasfigurazione Onlus, guidati da don Adriano Gennari. Una media di 600 pasti ogni domenica – ieri 670 -, una ventina di volontari a turno – sono 100 in tutto – che appartengono a ogni classe sociale, dal disoccupato al manager. Hanno tutti un sorriso e una buona parola per le tante persone in difficoltà che vengono a chiedere aiuto.

Ieri mattina a testimoniare l’importanza del sostegno e dell’assistenza c’era anche l’arcivescovo. Accolto con la ola da stadio, canti accompagnati con la chitarra e tanti applausi, mentre nel retro della mensa venivano ancora confezionati gli ultimi sacchetti. «Nella città dei Santi sociali questa è una bella testimonianza di fede e di amore – esordisce monsignor Nosiglia, accompagnato da don Adriano -. Anzi, la vostra presenza è ancora più preziosa di altre, perché voi siete qui a prestare volontariato di domenica, il giorno che quasi per tutti è dedicato al riposo». Poi il pensiero corre ai più bisognosi: «Non dobbiamo abbandonarli: certo vale più un piccolo lavoro che una grande assistenza, ma per chi il lavoro non ce l’ha un appoggio concreto è molto prezioso».

L’arcivescovo stringe mani, accarezza spalle sulle quali gravano pesi inimmaginabili per gran parte di noi, conforta chi gli espone i propri affanni. Grande attenzione anche per i volontari, arrivati qui alle 7 per restarci fino alle 12,30. Le sue parole hanno il sapore di una benedizione: «Il Signore vi restituirà tutto il bene che state donando: compenserà voi e le vostre famiglie. Quello che fate arricchisce le vostre vite, perché più diamo agli altri e più siamo felici». Non manca, tuttavia, la preoccupazione per un fenomeno che non dà segnali di arretramento. Nosiglia si dice preoccupato «per l’aumento delle persone costrette a vivere in povertà a causa della finanza impazzita, di un’economia che non mette al centro l’essere umano».

Poi, un invito: «Ciascuno di noi deve costruire dentro di sé un cammino di pace, attenzione però a non guardare troppo lontano. La realtà dei poveri è fatta dagli invisibili che possono vivere al nostro fianco: non trascurate, dunque, il vicino di casa». Un appello che chi da anni segue don Adriano Guerrieri ha già fatto suo. Conciliando il volontariato con tutto il resto. Come Valerio, 28 anni, che fa pratica legale in uno studio di diritto del lavoro. Come Dorin, muratore romeno, impegnato a confezionare i sacchetti del pranzo. Come Tiziano, uno dei 5 coordinatori, che suggerisce, a chi volesse dare una mano, di telefonare allo 011/437.70.70.

di Grazia Longo, La Stampa (21/03/2011)

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