Un negoziante su cinque parla straniero

L’ultimo nato è il Mix Market di via Nizza 19. Supermercato cosiddetto «etnico», aperto per riempire i frigoriferi di russi, ucraini, moldavi. In pochi mesi è diventato il negozio di fiducia dei residenti del quartiere, amanti della vodka «made in San Pietroburgo», originaria dell’Est Europa. La titolare è Irina Mosceva, russa. I suoi collaboratori sono Michele ucraino, e Ivan, moldavo. Hanno aperto l’attività a dicembre. Sono solo l’ultimo esempio di un commercio straniero che sta crescendo a vista d’occhio. Se molti italiani abbassano le saracinesche, piegati dalla crisi, orientali, africani e romeni resistono meglio di tutti. Il fiorire di attività multietniche è fenomeno noto da 4-5 anni in città. Ma è soprattutto nell’ultimo anno e mezzo che si registra l’impennata più evidente.

Su 30 mila attività commerciali in città – negozi, bar e ristoranti – circa il 20%, 5500 in tutto, è in mano agli stranieri. «Un dato che però, non deve preoccupare – spiega l’assessore al Commercio, Giuliana Tedesco -, perfettamente in linea con le cifre dell’immigrazione». Cambia la popolazione, cambiano di pari passo le esigenze commerciali: «I negozi etnici riempiono un vuoto, rispondono alle richieste dei connazionali, con prodotti tipici, introvabili altrove». Sessant’anni fa sorgevano negozi sardi, calabresi, siciliani? Oggi nascono le macellerie «halal», con carne trattata secondo le regole islamiche. Si trovano per lo più in Porta Palazzo e Barriera di Milano. A San Salvario, Borgo San Paolo e San Secondo sono spuntati invece gli afro market e i mercatini gestiti dai cinesi. Per loro, il discorso del cibo etnico vale fino a un certo punto: vendono un po’ di tutto. Gli orari sono ben diversi da quelli dei market italiani: nella zona di corso Vercelli, ad esempio, è facile imbattersi in negozi di alimentari aperti fino a tarda ora. Lo stesso discorso per i parrucchieri orientali, che tagliano i capelli a tutte le etnie, a prezzi low cost, dalle 7,30 del mattino alle 9 di sera.

Anche se sono proprio loro i più bersagliati dai controlli delle forze dell’ordine. Frequenti e salate sono le sanzioni amministrative, che puniscono le irregolarità nella conservazione dei cibi o la mancanza del marchio Ce, come prevedono le norme dell’Unione Europea. «L’apertura di queste attività è un arricchimento per Torino – continua l’assessore -. Come amministrazione siamo contenti che sempre più stranieri commercino alla luce del sole, perchè riusciamo a controllare meglio le condizioni igienico-sanitarie».

Nella classifica, i più numerosi sono i marocchini, con oltre 2000 negozi in città, per la maggior parte kebab. A seguire nigeriani e senegalesi. E ovviamente gli orientali. Tracciando una mappa delle etnie, sorprende come sia rappresentato davvero tutto il mondo: i nuovi commercianti arrivano perfino da Benin, Liberia, Mauritius, Kwait, Vietnam e Madagascar.

di Letizia Tortello, La Stampa (07/08/2012))

Estate fracassona: E’ la discoteca a rivolgersi al Tar

come la fai, sbagli. Lasci che sul Po si sparino decibel che nemmeno all’isola di Wight e ti attiri gli strepiti e le petizioni dei residenti. Provi a mettere il silenziatore almeno alle discoteche che hanno i locali in concessione da Palazzo Civico e ti ritrovi al Tar. Meno male che anche per il sindaco Fassino sono cominciate le vacanze, almeno quelle della giunta, perché l’affaire movida ha l’aria di lievitare al caldo dell’estate come un soufflé.
Ironie della sorte a parte, l’ultima polemica di agosto riguarda proprio l’ordinanza che il primo cittadino ha emesso attorno a giugno. Per la triade Fluido, Cacao e Ippopotamo, il Comune ha deciso che in settimana si chiude il locale a mezzanotte e nel week-end alle tre anziché alle quattro. Mentre i residenti ringraziano, i proprietari maledicono il provvedimento emesso da Palazzo Civico.

«Perché in un periodo di crisi, ci impedisce di lavorare nelle poche serate estive che si possono godere a Torino». Alcuni di loro hanno inghiottito in silenzio il boccone amaro, altri, come il Cacao – la discoteca del Valentino dove, per fare un esempio nel maggio scorso la Juventus al gran completo festeggiò lo scudetto – hanno deciso di rivolgersi al Tar. La decisione del tribunale amministrativo ci sarà il 6 settembre, quando i rumorosi giochi estivi saranno fatti. Ma intanto i giudici hanno negato ai titolare del locale quella sospensiva che a loro parere avrebbe «salvato la stagione». E così il divieto resta.

«Per noi è un danno notevole – spiega Alessandro Mautino, che ha firmato il ricorso – anche perché serate come quella di martedì o di domenica che sono più frequentate nella bella stagione rispetto a quelle del weekend quando tutti se ne vanno al mare, sono state praticamente cancellate». Incalza: «Noi abbiamo almeno un centinaio di dipendenti e soprattutto siamo collocati in un parco per cui non diamo fastidio a nessuno, non capiamo davvero come mai non si siano presi in considerazione anche questi fattori che dettagli non sono».
La realtà è che, a fronte di migliaia di telefonate di protesta sulla movida, Palazzo civico ha dovuto dimostrare di tirare la cinghia degli orari almeno «in casa propria».

Secondo i titolari sta proprio lì l’errore: «La clientela che non può più venire da noi giocoforza si riversa ai Murazzi e in piazza Vittorio – continua Mautino – ed ecco che si tratta di una soluzione che genera un altro problema». E dire che per i residenti – quelli che abitano lungo il Po – sopra tutti, la mano del Comune è ancora troppo leggera. Sono le due facce della movida fracassona.

di Emanuele Minucci, La Stampa (07/08/2012)

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