«Li ho visti salire sul pulmino. Salutavano e piangevano dietro il vetro. Mi mancheranno». Luisella Minci ha gli occhi umidi raccontando dell’addio ai pazienti psichiatrici della «Nuvola Bianca» di via Ormea 85, trasferiti dall’Asl 1 in altre residenze. Piange Luisella, che lavora nella copisteria di fronte; e piange tutto il quartiere salutando quei vicini un po’ strani, accolti prima con qualche resistenza; e poi, con naturalezza, amati.

La tristezza di oggi è figlia di un lavoro di sensibilizzazione fatto quasi vent’anni fa, nel 1993, all’apertura della struttura. A volerla fu il primario di psichiatria delle Molinette Annibale Crosignani, ora in pensione. Servivano pazienza, tolleranza. Nei «gruppi appartamento» sono passati da allora quasi 200 pazienti. «Ci mancano», sospira Maria Antonietta Bianchi, titolare del bar vicino, e racconta l’affetto per una cliente fissa: «Una ragazza che parlava in continuazione, una macedonia di parole incomprensibili. Ma se le facevi una domanda rispondeva lucida e precisa. Poi tornava nel suo mondo».

Luisella Minci ripensa a Francesco: «Ogni sera, quando chiudevo il negozio, controllava che non mi succedesse niente. Restava alla finestra finché non salivo in macchina e lo salutavo». Crosignani racconta di un’altra paziente, una storia di abbandono e prostituzione alle spalle. «Un giorno, fuori di sé, voleva tornare per strada. La fermò una prostituta di via Ormea la convinse a non farlo. I cittadini – conclude il medico – ci hanno aiutato. Ma anche i malati hanno aiutato i cittadini a parlarsi di più e hanno portato sorrisi anche quando sembrava impossibile». Come fece un malato che diceva di essere il «padrone della Fiat» e che così consolò un vicino di casa in cassa integrazione: «Nessun problema: te lo trovo io un lavoro!».

Problematici, non pericolosi. «Mai avuto grane», conferma il barbiere Luciano Desogus. Il pericolo, semmai, era lasciare che dormissero in strada o nelle «pensioni-lager» che si moltiplicarono dopo l’applicazione monca della Legge 180: che aveva chiuso i manicomi, senza piani di reinserimento. La casa di via Ormea fece scuola. Anche a livello organizzativo, con l’affidamento dei servizi non sanitari alla cooperativa Frassati. E il dialogo costante con i cittadini ha realizzato quel ritorno in società, meta della strada segnata (e sognata) da Basaglia.

L’Asl 1 ha lasciato via Ormea, casa «vecchia, troppo costosa», i malati trasferiti in quattro residenze: sistemazioni «dignitose e adeguate». «Ma quanta tristezza nei loro occhi – dice Luisella – staccarsi da questo posto, dalle loro abitudini».

La Nuvola bianca non c’è più, ma qualcuno dei pazienti è già ripassato a prendere il caffè da Maria Antonietta: nuvole che ritornano, perché così definì i malati un paziente che scelse il nome per la casa di Via Ormea, ispirandosi alla statua di un poeta: «Lui scrive poesie guardando le nuvole in cielo. E noi siamo le nuvole. Ma senza pioggia, innocue. Bianche».

di Paola Italiano, La Stampa (03/06/2011)

1 Commento. Nuovo commento

  • Bravissimo, hai fatto bene a segnalare il fatto!
    Il nostro borgo, nonostante quel che si pensa “normalmente”, perde così una ricchezza umana…

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