Ha 250 anni ma non molti conoscono questi 3 ettari di meraviglie naturali nel cuore di Torino.

La biologia vegetale e le sue meraviglie, piante e fiori belli o rari, o utili, da ogni angolo del mondo (quasi 4.500 specie), da osservare o da studiare, ma anche il silenzio, l’ombra verdeggiante del boschetto, le api affaccendate attorno alle arnie, le vasche di ninfee, conigli selvatici e scoiattoli, insomma un luogo bello e rilassante: l’orto botanico di Torino. Un luogo che rimane principalmente consacrato allo studio e alla ricerca scientifica. Dipende infatti dal Dipartimento di biologia vegetale dell’Università di Torino. Nel suo edifico, ottocentesco, tre aule ed un’aula magna, laboratori e uffici. Dentro e fuori un viavai di docenti e di studenti, tre tecnici dell’università (giardinieri), che diventano quattro stagionalmente ed una direttrice e docente, Rosanna Caramiello.
I suoi tre ettari di aiuole sistematiche, serre, prato e bosco sono frequentati anche da scolaresche ( al mattino su prenotazione) o da cittadini comuni nei fine settimana e nelle festività infrasettimanali: per loro si riapre il 15 aprile.
Tutte le visite sono guidate da laureati in scienze naturali che illustrano le caratteristiche di piante rare o diffuse, varietà “botaniche” o frutto di selezioni (si chiamano cultivar), ornamentali o officinali, provenienti dai deserti, dalle foreste pluviali o dai nostri paraggi, come le collezioni di orchidee provenienti dell’Appennino o dall’Albese.
C’è anche un percorso di visita dedicato ai ciechi ed agli ipovedenti, con piante dalla storia particolarmente interessante, illustrate con segnaletica in braille e adatte ad essere toccate.
Istituito nel 1729 nella sua collocazione attuale accanto al castello del Valentino su un appezzamento di soli 6.800 metri quadrati, accoglie i visitatori con un magnifico tiglio: il più grande e bello della città, vecchio di 150 anni ma in perfetta salute, come molte altre piante risalenti alla fondazione del giardino.
All’ombra del tiglio una vasca lobata in pietra al cui centro sorge la colonnina con il busto dedicato a Carlo Allioni, il massimo botanico del ‘700.
Tutt’attorno le aiuole dette sistematiche perché ognuna è dedicata a una collezione di specie botaniche appartenenti ad una stessa famiglia.
Poi le serre: quella delle piante grasse ne contiene più di 400 specie, dagli astrophitum (nome oscuro per una pianta abbastanza nota), al serpentiforme selenicereus grandiflorus, specializzato nel fiorire solo di notte con fiori che nascono muoiono e si seccano nell’arco di pochissime ore.
La peculiarità delle antiche serre “all’olandese” è di essere costruite in seminterrato, per una migliore conservazione del calore. A metà ‘800 ne realizzarono due, oggi ne rimane una nel lato est dell’Orto. Restaurata nel 1999, protegge 111 specie tropicali e 23 ibridi di Orchidiacee.
La serra molto grande e moderna, addossata al perimetro dell’Orto è stata realizzata nel 2007, con fondi della Regione Piemonte, è interamente dedicata alla flora sud-africana. Le sezioni interne permettono di attraversare ambienti e climi diversi, con la loro vegetazione tipica: dalla foresta umida, fino ai deserti.
Nelle zone più soleggiate del boschetto, realizzato secondo la moda romantica inglese dell’800 su terreno movimentato da dolci dislivelli e improvvise radure, una piantagione di vecchi cultivar di meli, peri, ciliegi, susini i cui frutti sono anche riprodotti e conservati al museo Garneir Valletti. Dal confronto con quei frutti si vuole verificare, spiega la direttrice, l’ appartenza di quelli che nasceranno in estate, a cultivar effettivamente antichi.
Lì vicino, le arnie da cui apiculturi volontari traggono miele abbondante e purissimo: il primo “miele di città” prodotto in Italia.
Una parte del boschetto, che occupa nell’insieme circa due ettari, riproduce la foresta planiziale, quella che, sopravvissuta alle glaciazioni, fu però in gran parte distrutta dagli uomini, per fare spazio all’agricoltura: sono carpini, querce, frassini, noci.
L’Orto non riceve da parte dell’ Università finanziamento ad hoc per la sua gestione. Fa parte del circuito museale della Regione Piemonte e incassa circa 6.000 euro all’anno con la vendita dei biglietti. Non abbastanza per coprire il suo fabbisogno, per il quale occorre trovare di volta in volta finanziamenti da parte di istituzioni diverse.

di Silvio Lavalle, CittAgorà (08/04/2011)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Compila questo campo
Compila questo campo
Inserisci un indirizzo email valido.
Devi accettare i termini per procedere