Dal balcone di uno di quei palazzi, in primavera, lo spettacolo era spesso assicurato: saette luminose che incendiavano il cielo, il terribile rombo dei tuoni sempre più in ritardo, incredibili scrosci di pioggia. E, ogni tanto, un arcobaleno faceva capolino tra gli alberi affacciati sul Po e sulla collina. Dall’altro lato dell’edificio, un enorme sfera d’acciaio penzolante da una gru aveva a lungo monopolizzato l’attenzione degli abitanti di quel tratto di corso Dante: ad ogni sua oscillazione crollavano al suolo pezzi di muro della vecchia casa d’angolo, quella con il bar e due miseri tavolini con ombrellone sul marciapiede.

Era la fine degli anni Sessanta, o forse l’inizio dei Settanta, che poi cambia poco. L’Autosalone Isabella era al massimo splendore, mentre il palazzo di color rosa al numero 124 aveva già preso il posto del caseggiato che ospitava tabaccheria e verduriere. Molte le attività sparite: la rivendita di batterie Tudor, proprio di fronte al primo stabilimento della Fiat, ora in fase di smantellamento per far spazio ad un quasi-grattacielo; il negozio che vendeva copriauto più o meno di fronte, a fianco di un noleggio di auto da cerimonia; la merceria Chez Maria all’incrocio con via Tiepolo dove c’è Details; sempre in via Tiepolo, nel tratto che va verso corso Sclopis, la latteria di Paola Bessone (in parte occupata dall’attuale bar Wolf) e la prima bottega di Papà Tullio, poi spostatasi sul corso e diventato pomposamente «minimarket»; nell’altro pezzo di via, in un carraio, Fogliacco, ingrosso di elettricità; la tintoria dei coniugi Postilla, dove adesso c’è un takeaway giapponese. Un mondo scomparso, di cui i più nostalgici forse sentiranno la mancanza, quando i commerci dettavano ritmi un po’ più blandi. In un’epoca in cui una micro-area come questa aveva precisi punti di riferimento anche nelle vecchie battone che presidiavano gli angoli delle vicinanze.

Ora, ma in fondo non è detto che sia peggio, in tutta la città, compreso corso Dante, «va» il giapponese. «Abbiamo aperto nel giugno di due anni fa, questo è uno dei cinque punti vendita della gastronomia Kombu – dice Carolina De Marinis -. A pranzo lavoriamo con gli impiegati, alla sera un po’ con tutti, anche perché siamo organizzati anche con le consegna a domicilio. Un’ottima zona: tanti i posteggi, e poi qui vale anche la doppia fila, e un continuo passaggio di chi, attraversando il ponte in auto, non può non notarci».
Poco più in là, ecco il coiffeur per donna che Giovanna e Salvatore Gigante gestiscono dopo aver rilevato, nel lontano 1970, il negozio da parrucchiere di madama Bocca che, a sua volta, era subentrata ad un commercio di olio alimentare. «Dopo quarant’anni di attività, ci vorrebbe una scossa. Ad esempio un’ondata di nuovi clienti al posto delle famiglie di collina e precollina che serviamo da sempre – spiega Salvatore -. Il posto comunque è tranquillo, mai avuto fastidi. Però il sabato fa impressione, tanto è desolato: quando chiudono gli uffici, è la morte civile».
Dallo stesso lato, all’angolo con via Tiepolo, c’è il capostipite delle tre boutique Details. «L’abbiamo inaugurata nel 1980, al posto di Highland Company – racconta il titolare Alberto Teo -. Vent’anni dopo è stata la volta del negozio di fronte, che ora lasciamo per fine locazione, mentre nel 2007 abbiamo affittato anche l’ex autosalone Isabella. La scelta di stare lontani dal centro è risultata vincente, anche se l’abbigliamento fatica molto da quando è scoppiata la moda degli outlet, che hanno abituato tutti a cercare sempre e comunque il prezzo. Questo tratto di corso Dante commercialmente forse non sarà granché, ma se resistiamo da più di trent’anni vuol dire che i nostri prodotti sono validi e che un po’ ci sappiamo fare».

A fianco della scuola Holden, che occupa una bella palazzina tardo-liberty, c’è l’abbinata bar (fine anni Cinquanta) e panetteria (decennio Ottanta) che sino a 25 anni faceva capo alla famiglia Polo Scrivan. «Gli uffici ci danno una grossa mano – dice Elena Galioti, proprietaria della caffetteria – così come i docenti della Holden, nostri avventori abituali grazie anche al dehors che ormai è un’appendice fissa del locale. La zona? Eccellente, non c’è che dire».
Attraversiamo di nuovo il corso, per gettare lo sguardo su un altro pezzo di storia del microborgo. Papà Tullio, siamo alla fine degli anni Sessanta, è stato uno dei primi «minimarket» della città, a lungo vero e proprio punto di riferimento di un quartiere dove, di più ampio e conveniente, c’era solo il Pam di corso Bramante. «Lavoriamo quasi esclusivamente con gli anziani che abitano nei dintorni – dice Carmine De Cero, dal 2000 titolare di A tutta spesa -. La crisi si sente eccome, e poi la grande distribuzione ci ha portato via l’80% del lavoro: i clienti di passaggio entrano solo se hanno dimenticato il latte o il caffè…».

di Maurizio Ternavasio, La Stampa (21/04/2011)

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