Articolo di Maurizio Ternavasio, rubrica “Questa è la mia città” de La Stampa. (31/05/2012)
Da piccolino avevo un compagno di giochi che si chiamava Tiziano. Quando, verso i 6-7 anni, sono andato a vivere al fondo di corso Dante e i miei parlavano della vicina via Tiziano, mi ero stupito della fama del mio amico: a me sembrava un ragazzino come molti altri, e invece aveva addirittura una via a lui intitolata. L’arcano i miei me l’hanno spiegato subito, e curiosamente da allora io Tiziano non l’ho mai più incontrato.
Non si può dire che via Tiziano, che parte da corso Galileo Galilei per spegnersi in via Muratori (la semisconosciuta parallela alla ferrovia oltre via Nizza), sia una strada di particolare bellezza. Pochi edifici d’epoca, e molti – francamente non bellissimi – degli anni Cinquanta e Sessanta. Una via che pare un po’ spegnersi, e che forse si spegnerà ancora di più, con il trasloco della Stampa in via Lugaro.
Eppure in un tempo non lontano era ben più vivace e movimentata, specie nel primo tratto, quello in prossimità di corso Massimo D’Azeglio. In particolare per merito della libreria Alfieri, vero e proprio punto di riferimento per gli studenti di tutta la città, che venivano qui, nel minuscolo bugigattolo su due piani a fianco dell’autolavaggio, a comprare i libri di scuola. Io ci ho lavorato una decina di anni, lì dentro, nei periodi a cavallo dell’estate. E credo che nessuna esperienza sia stata altrettanto formativa, nella mia vita.
Allora, intorno alla libreria Alfieri, scorreva tutto un mondo diverso, fatto di attività (e soprattutto di persone) che hanno lasciato un segno non soltanto nella via. Mi riferisco in particolare al barista Silvio, che prima gestiva il bar la Stampa all’angolo con via Chiabrera, e poi aprì quello nuovo (primi anni Settanta) all’incrocio con via Marocchetti; alla parrucchiera da donna che c’era in mezzo ai due locali; al piccolo laboratorio di riparazioni elettriche al di là di corso Massimo; alla macelleria; al meraviglioso minimarket dei fratelli Di Girolamo, dove alla cassa c’era la sorridente e gentilissima moglie di uno dei due titolari.
Oltre via Ormea, curiosamente sempre dallo stesso lato della strada (ma con l’appendice dell’officina di fronte), c’era il concessionario delle moto Benelli che si chiamava Torelli e che era un gran signore. Suo figlio, più giovane di me, era piccolino di statura, e per questo noi lo chiamavamo “gagno Claudio”. Il tratto oltre via Madama mi era quasi sconosciuto: non so perché, ma per chi come me abitava nei pressi del Po il centro di gravitazione del quartiere, a parte chiesa e scuole, si arrestava misteriosamente proprio in concomitanza con la via della Microtecnica.
P.S.: Nella foto, la prima sede della libreria Alfieri