L’accoglienza agli immigrati da parte della Chiesa torinese via via che i giorni passano assume una forma sempre più concreta. Trovare risposte nell’emergenza, questa è stata l’indicazione dell’arcivescovo alla Giornata Caritas. Ieri, poi, al consiglio episcopale, monsignor Cesare Nosiglia (contrario alle tendopoli) ha messo a punto un messaggio per sollecitare la disponibilità del mondo ecclesiale e ha indicato in don Beppe Trucco, vicario per Torino città, il referente che stilerà la mappa dei posti e si rapporterà con le autorità.

Stamane a Villa Lascaris di Pianezza, dove Nosiglia guida il ritiro del clero diocesano, il messaggio sarà affidato ai parroci e domani verrà pubblicato da La Voce del Popolo. «Di fronte al dramma a cui stiamo assistendo – dice don Trucco – l’arcivescovo chiede alle parrocchie, alle famiglie, alle comunità religiose, di segnalare le possibilità per ospitare temporaneamente gli immigrati. Io le raccoglierò e poi, se ci sarà richiesto, faremo la nostra parte». Don Gian Carlo Avataneo, vicario episcopale per Torino Sud Est e parroco alla Collegiata di Carmagnola aggiunge: «Il messaggio dell’arcivescovo, che ha auspicato un tavolo con le istituzioni coinvolte, è di tenersi pronti ad accogliere».

Le modalità, in molti casi, dovranno essere «inventate». Chi pensa ad alloggi nelle case parrocchiali, infatti, sbaglia: in generale non sono attrezzate. «Di metri quadrati ne abbiamo in abbondanza – dice, ad esempio, don Martino Ferraris, vice parroco del Sacro Cuore di Gesù, via Nizza – ma richiederebbero un’integrale e costosa ristrutturazione: la nostra casa è un ex convento fatto di minuscole celle. Noi preti diocesani siamo qui dal 2003 e da allora il parroco don Luciano Fantin non ha fatto altro che pensare a migliorare la chiesa, a tappare le falle dei tubi vecchi». Per vivere, i preti hanno adattato poche stanze. Il bagno è all’altro capo dell’edificio… «Ai parrocchiani abbiamo già chiesto tanto: per la chiesa, la mensa dei poveri. Noi ci accontentiamo». Qui, se accoglienza ci sarà, dovrà avvenire altrove.

Don Piero Gallo, parroco ai Santi Apostoli Pietro e Paolo a San Salvario, da molti anni ospita nelle mansarde della casa parrocchiale studenti africani. «In generale – osserva – le case parrocchiali non sono attrezzate, possono esserci problemi di sicurezza. Invece, molto potrebbero fare certe congregazioni che hanno case enormi abitate ormai da due o tre suore».

A Ciriè don Guido Bonino, parroco del Duomo, spiega che «dell’accoglienza si parlerà tra le 9 parrocchie dell’Unità pastorale. Noi potremmo ampliare il servizio di mensa e di vestiario, mentre in fatto di case parrocchiali siamo messi male. Invece, potremmo cercare un luogo da attrezzare».

Don Matteo Migliore, parroco di San Luca a Mirafiori, da vent’anni ospita immigrati e italiani nel centro di accoglienza annesso alla chiesa. «Tre anni fa con il direttore della Caritas, Dovis, e con altri parroci si era pensato di allestire qualche locale per l’accoglienza in ogni parrocchia. Purtroppo non si è mosso nulla. D’altra parte, i progetti della Cei non lo prevedono». Se qualcuno si è mosso, insomma, lo ha fatto di sua iniziativa. «Accogliere poi è faticoso, le persone bisogna seguirle. E spesso quando dai un alloggio, chi ospiti non se ne va più. Bisogna tenerne conto. Ma se il progetto è chiaro, la gente risponde positivamente».

di Maria Teresa Martinengo, La Stampa (06/04/2011)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Compila questo campo
Compila questo campo
Inserisci un indirizzo email valido.
Devi accettare i termini per procedere