Articolo di Maurizio Ternavasio, rubrica “Questa è la mia città” de La Stampa.
Parte all’angolo con piazza Nizza, quella che una volta aveva un bello e comodo mercato provvisoriamente spostato in corso Raffaello, ma che è lì ormai da sette-otto anni.
Alla faccia della programmazione: ogni due per tre qualcuno si alza e dice che tra pochi mesi tutto tornerà come prima, mentre invece nulla cambia. La piazza continua ad essere un cantiere, e il corso un gran caos per residenti, ambulanti e clienti.
Quella che parte da piazza Nizza è via Donizetti (dall’altra parte dello slargo c’è invece la brevissima via Calvo). Gaetano Donizetti con una “z” sola (qua e là c’è invece qualche targa viaria con il cognome errato…) è stato un compositore di gran nome vissuto nella prima metà dell’Ottocento e morto a soli 52 anni: a lui si devono alcune vere e proprie pietre miliari della musica operistica come “L’elisir d’amore” e “Lucia di Lammermoor”.
Donizetti con una “z” sola è un cognome che, non so perché, mi è sempre piaciuto: avessi potuto scegliere, al posto del mio, brutto e incomprensibile, avrei scelto una cosa del genere. Oppure, non so neanch’io perché, avrei optato per il marchigiano Perticaroli che una volta ho letto su un citofono vicino a casa.
Però non avrei scelto di vivere lì, in via Donizetti, anche se è una via che mi è sempre piaciuta, soprattutto in considerazione di un traffico piuttosto limitato e del fatto che si trovi a San Salvario, il quartiere della mia fanciullezza.
Percorriamola idealmente contro mano, annotando prima di tutto come nel suo intero percorso, che termina all’angolo con via Nizza, esistano edifici di tutti i decenni compresi tra gli anni Venti e Novanta.
Così, accanto a liberty pregevoli (come quello all’incrocio con via Belfiore, opera di Pietro Fenoglio) e altri ben più semplici, convivono con fatica un po’ di razionalismo, gli oscuri Cinquanta, i bruttini Sessanta (ad esempio all’angolo con via Saluzzo), e infine gli ultimi epigoni di un architettura che a Torino, negli ultimi 30 anni, non ha certo dato il meglio di sé.
C’era un macellaio, nel primo isolato sulla destra, che c’è ancora, anche se è cambiato il titolare. Subito dopo c’era un cinema, l’Acapulco mi pare, comodissima seconda visione per chi abitava in zona: ora al suo posto c’è una sala bingo. Scendendo, oltre via Madama, ecco il grazioso hotel Eden (progettato nel 1900 da Alfredo Premoli), con cui confina un curioso vicolo ricurvo (Valtorta) ora sbarrato; dopo via Pietro Giuria, sempre sullo stesso lato, c’è l’edificio delle facoltà scientifiche (quello con le curiose guglie in stile minareto, sopravvissute a una delle tante Esposizioni Universali) che accoglie anche il museo della Frutta e il museo Lombroso di Antropologia Criminale: due eccellenze torinesi che probabilmente meriterebbero maggior attenzione da parte del pubblico, ma anche da chi “comunica” la città.