Un articolo uscito oggi su nuovasocietà.it si interroga (ancora) sul futuro e il passato di San Salvario.

Fuori dall’Istituto comprensivo Manzoni, elementari e medie all’angolo tra corso Marconi e via Madama Cristina, ci sono facce di ogni parte del mondo. I ragazzi che affollano i marciapiedi alla fine dell’orario scolastico sembrano ignari del clamore dei conflitti tra italiani e migranti che caratterizzava San Salvario solo quindici anni fa. Se non fosse per una legge che non riconosce la cittadinanza italiana ai figli degli immigrati (anche se nati qui e cresciuti insieme ai loro compagni italiani), sembrerebbe che la convivenza abbia avuto ragione sulle discriminazioni che erano nate per lo spaccio a cielo aperto e che aveva reso famoso il quartiere al pubblico nazionale. «Nei cinque anni che ho passato in questa scuola non mi sono mai sentita isolata – racconta Patrizia Borio, preside dell’Istituto – Abbiamo sempre lavorato in rete, all’interno di un sistema. Il quartiere è pieno di risorse e negli anni sono emerse, oggi i bimbi immigrati sono in diminuzione, ma noi abbiamo sempre vissuto la loro presenza come una risorsa e non come un problema. Portare avanti un discorso educativo che funzioni significa non lasciare indietro nessuno».
Questa scuola che in breve tempo ha vinto le diffidenze di chi non voleva mandare i propri figli “in classi piene di immigrati dove non si studia” e che è diventata invece un luogo dove si parla di sessualità, tecnologia e consumismo nelle attività interne, è forse l’esempio più evidente della trasformazione che è avvenuta in questi anni.
San Salvario oggi si presenta come un laboratorio dove i giovani si incontrano la sera e dove lo scontro tra culture sembra essersi spostato dalle dinamiche migratorie a quelle tra cittadini residenti e i locali della movida notturna.
Mascia Cusenza, insegnante molto conosciuta e attiva nel quartiere vive a Torino dal 2005. Anche lei emigrata, ma dal sud Italia.
«Da allora ho visto moltissimi cambiamenti – dice – appena arrivata mi ha colpito l’impatto con via Goito e i portici di via Nizza che segnavano un vero e proprio confine tra il centro ricco e opulento e il quartiere dove giravano molti disperati. Dopo i restauri delle olimpiadi del 2006 c’è stato un cambiamento positivo anche qua, hanno aperto i locali alla sera e sono arrivati i giovani. Gli emarginati ci sono ancora, la gente che prima faceva paura ora sembra integrata con gli altri, ma nascosto dietro al benessere c’è ancora degrado e solitudine».
Un luogo complesso e articolato San Salvario, pieno di realtà sociali, politiche e sindacali, dove è nata e cresciuta l’ASAI, un’associazione di volontariato attiva dal 1995 che lavora nell’ambito dell’intercultura, dove un oratorio come il San Luigi si è guadagnato anche la stima del mondo laico, dove è nata una casa del quartiere, ma anche dove le tante proposte culturali sono vissute, nei fatti, da una maggioranza di italiani benestanti. In questo modo la differenza tra ricchi e poveri torna ad essere tra italiani e migranti. «Il rischio può essere che diventi chic vivere qui», conclude la Borio.
Sembrano lontani i tempi in cui in via Bertollet aprivano a poche decine di metri di distanza il ristorante “Il Nostalgico” che vendeva il vino con la faccia di Mussolini sull’etichetta e la sede di “Fascismo e libertà” o dove la Lega Nord pensava di fare il pieno di voti con le campagne contro gli immigrati. Tutto sullo sfondo degli speculatori italiani che affittavano in nero stanze con dieci posti letto ai “clandestini” per centinaia di migliaia di lire. Oggi resta qualche scritta sui muri che continua a chiedere “prima agli italiani”, senza rendersi conto che gli italiani nel 2012 si chiamano anche Mohamed o Irina.
Ma se la destra xenofoba ha indubbiamente perso a livello di consensi è innegabile che una vera e propria comunità plurale, rispettosa delle diversità e meticciata, grazie all’incontro tra le persone, non sia ancora nata. Giriamo queste considerazioni a Roberto Arnaudo dell’agenzia per lo sviluppo locale di San Salvario che ha reperito i fondi per l’apertura della “Casa del Quartiere” e a cui fanno capo ventiquattro tra enti e associazioni di diverso orientamento. «Questo non è mai stato un quartiere povero, ma mediamente benestante e mischiato socialmente – spiega – I flussi migratori hanno modificato le cose in modo veloce e così in molti è nata la paura, ma non ci sono mai stati processi di sostituzione, cioè gli abitanti non se ne sono mai andati in massa dal quartiere. Le speculazioni edilizie ci sono anche state, ma non come la percezione esterna vorrebbe. Essendo molto frammentata la proprietà immobiliare il fenomeno è abbastanza limitato». E rispetto a chi specula sugli affitti? «Questo fenomeno c’è ancora adesso – risponde Arnaudo – in via Nizza ci sono mansarde in cui le persone non riescono neanche a stare in piedi perché hanno i soffitti troppo bassi e vengono affittate a 500 euro. Comunque è una situazione a macchia di leopardo». «Qui i cambiamenti – prosegue – sono avvenuti senza spostare un mattone, senza cambiare la conformazione del quartiere, i progetti sono intervenuti sulle relazioni tra le persone, ma sostanzialmente è la stesso di cinquant’anni fa».
Mentre parliamo gli raccontiamo di come ci sia capitato di vedere fuori dalla “Casa del Quartiere” immigrati seduti sulle panchine mentre dentro gli italiani prendevano l’aperitivo dando così l’impressione di una separazione nei fatti. «Quello che avete visto riguarda soprattutto l’attività del bar – chiarisce Arnaudo – Siccome sapevamo di non poter contare sempre su fondi pubblici la scelta è stata di non fare ristorazione sociale, a basso prezzo, ma invece a prezzo di mercato innescando inevitabilmente quello che avete visto. Questo però ci permette di ospitare una miriade di associazioni di immigrati marocchine, filippine, boliviane, senegalesi, ecc. senza dover chiedere loro quasi nulla per l’uso degli spazi».
Comunque la si pensi in questo quartiere avvengono molte cose e un po’ per tutti i gusti. La sensazione è che sia un territorio in movimento in cui ci sono persone che provano a migliorare la qualità della vita senza paura di entrare nel groviglio di contraddizioni che produce la società attuale.

Una scommessa che continua.

di Paolo Sollecito, nuovasocietà.it (22/10/2012)

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